La Maledizione di Mezzapica

Uno sguardo ironico e coinvolgente sulle disavventure degli isolani testimoni e protagonisti di viaggi andata e ritorno che solcano gli oceani e il secolo appena trascorso. Il profilo roccioso di Filicudi si staglia ed emerge come approdo a dispetto di qualsiasi vento.

Paolo Chicco
Paolo Chicco

nasce a Torino (1951) dove vive ed esercita la professione di penalista. Alla fine degli anni Settanta dirige una delle prime radio libere e fonda la rivista di politica e cultura “La Pallacorda”. A sedici anni scopre le Eolie: pur essendo un vero sabaudo ama dire che da quarant’anni studia da siciliano.

 


La Sciara

Le onde ricoprivano il pontile di Pecorini, sollevando nuvole di spruzzi, e le nasse, legate tra le barche in secco, parevano volersi sciogliere dagli anelli.
Anche le ginestre della pergola di Nino Tizzone, sfrut­tando il vento, si erano liberate dai legacci di ferro filato e volavano sopra i tetti.
La mareggiata, durante la notte, aveva pavimentato di sassi la terrazza della caserma dei carabinieri e la porta non si apriva.
Era quasi l’alba e Carmelo sentiva il bisogno di uscire.
Quella notte non aveva dormito.
Di sicuro era stato il vento a tenerlo sveglio, pareva gli volesse portare il mare sin dentro il letto.
Forse lo aveva disturbato anche quel pensiero che gli ronzava per la testa.
Comunque fosse: non sopportava più quella stanza.
Quando tirava vento, si sentiva in mezzo alla bufera per gli spifferi che entravano dalla porta-finestra. C’erano fes­sure larghe un dito ma l’infisso non lo si poteva cambiare, l’arma non aveva fondi e poi sull’isola falegnami non ce n’erano.
Così si era dovuto arrangiare con le buste di carta gial­la in dotazione alla caserma, quelle d’ordinanza. Le aveva piegate a fisarmonica e infilate nelle spaccature, ma non era stato sufficiente.
Carmelo non poteva nemmeno cambiare stanza perché quella spettava al comandante, per via del balcone con il porta bandiera.
E il comandante era lui.
A dire il vero non sopportava più nemmeno gli isolani.

L’arca e la merca

Cosa provasse Tindara, mentre sceglieva le cose da mettere nel grande baule verde, forse non lo capiva nemmeno lei.
Alla partenza mancavano ancora due mesi, ma le contenute dimensioni del bagaglio, concesso in terza classe, la costringevano a scegliere già ora cosa portare e cosa lasciare.
Quel giorno poteva prendersi tutto il tempo che le serviva. La za Angiulina era appena stata sepolta nel cimitero della chiesa vecchia: così voleva e così, prima di morire, si era fatta promettere da Don Cincotta.
Quelli del Torrione come lei dovevano finire sotto terra al cimitero comunale di Pecorini ma il Parrino, facendo un’eccezione, l’aveva accontentata perché lei in quello non aveva parenti. Sono stata già tanto sola in vita – diceva – almeno da morta cerco compagnia.